Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), che ha progressivamente sostituito la vecchia Legge Fallimentare, ha potenziato e sistematizzato una serie di strumenti volti a favorire la risoluzione negoziata delle difficoltà aziendali, ponendo l’accento sulla continuità e sul risanamento piuttosto che sulla liquidazione.
Molti di questi strumenti, pur avendo rilevanza giuridica e producendo effetti tutelati dalla legge, si fondano su un presupposto fondamentale: l’accordo tra le parti, raggiunto in un contesto prevalentemente stragiudiziale. L’imprenditore in crisi ha quindi a disposizione diverse opzioni per ristrutturare la propria attività dialogando direttamente con i creditori, con un intervento del Tribunale che può essere limitato, eventuale o del tutto assente.
Il Piano Attestato di Risanamento: la soluzione interamente privata
Lo strumento più marcatamente stragiudiziale previsto dall’ordinamento è il piano attestato di risanamento, oggi disciplinato dall’articolo 56 del CCII. Si tratta di un progetto redatto dall’imprenditore, rivolto ai suoi creditori, che delinea le azioni strategiche, industriali e finanziarie necessarie per superare la crisi e ripristinare l’equilibrio economico-finanziario dell’impresa.
La sua caratteristica principale è l’assenza di un’omologazione da parte del Tribunale. L’efficacia del piano si basa su due pilastri:
- la base negoziale: Il piano è efficace nei confronti dei creditori che vi aderiscono volontariamente.
- l’attestazione del professionista: Un professionista indipendente (in possesso di specifici requisiti di legge) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.
Questa attestazione conferisce al piano una “garanzia” di serietà e affidabilità, producendo un effetto fondamentale: gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano non sono soggetti all’azione revocatoria in caso di successiva liquidazione giudiziale. In sostanza, l’attestazione “blinda” le operazioni di risanamento, incentivando i creditori e i nuovi finanziatori a supportare l’impresa senza temere che le loro azioni vengano vanificate in futuro. Il piano di risanamento è, a tutti gli effetti, un accordo privato la cui esecuzione è protetta dalla legge, senza alcun coinvolgimento giudiziale.
Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti: la via ibrida
Un’altra soluzione di natura negoziale, ma con un coinvolgimento finale del Tribunale, è l’accordo di ristrutturazione dei debiti, previsto all’art. 57 e ss. CCII. Questo strumento si caratterizza per una struttura bifasica: una fase stragiudiziale e una giudiziale.
Nella prima fase, l’imprenditore negozia privatamente con i propri creditori per raggiungere un’intesa sulle modalità di ristrutturazione del debito. Per poter accedere alla fase successiva, l’accordo deve essere stipulato con creditori che rappresentino almeno il 60% del totale dei crediti. Anche in questo caso, è necessaria la relazione di un professionista che attesti l’attuabilità dell’accordo e, in particolare, la sua idoneità ad assicurare l’integrale e regolare pagamento dei creditori che non vi hanno aderito.
La seconda fase è giudiziale: l’accordo viene depositato in Tribunale per ottenerne l’omologazione. Il giudizio di omologa non serve a perfezionare l’accordo (che ha natura contrattuale), ma a garantirne l’efficacia e a rendere irrevocabili gli atti esecutivi. Sebbene la giurisprudenza qualifichi tecnicamente gli accordi di ristrutturazione come una “procedura concorsuale”, la loro anima resta profondamente privatistica, poiché il contenuto dell’accordo è rimesso all’autonomia delle parti.
Un aspetto cruciale di questo strumento riguarda i creditori estranei all’accordo, i quali conservano il diritto di essere soddisfatti per intero. L’accordo, quindi, non può imporre loro alcun sacrificio. Per tale ragione, i creditori non aderenti mantengono impregiudicati i loro diritti anche nei confronti di coobbligati e fideiussori del debitore.
La Composizione Negoziata della Crisi: la negoziazione facilitata
Introdotta di recente dal CCII (art. 12 e ss.), la composizione negoziata della crisi rappresenta l’evoluzione più moderna del principio di soluzione stragiudiziale. Non è una procedura in senso stretto, ma un percorso volontario e riservato in cui l’imprenditore, assistito da un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio, avvia delle trattative con i creditori al fine di individuare una soluzione idonea a superare lo stato di crisi.
L’intero percorso si svolge al di fuori delle aule di tribunale. L’esperto agisce come un facilitatore, aiutando le parti a trovare un punto d’incontro. L’intervento del Tribunale è solo eventuale e strumentale, ad esempio se l’imprenditore richiede l’applicazione di misure protettive del patrimonio per difendersi da azioni esecutive dei creditori durante le trattative.
In conclusione, l’ordinamento offre un ventaglio di opzioni che consentono di affrontare la crisi d’impresa privilegiando il dialogo e l’accordo. Dal piano attestato, completamente privato, alla composizione negoziata, percorso facilitato e confidenziale, fino agli accordi di ristrutturazione, che combinano autonomia negoziale e validazione giudiziale, l’imprenditore ha la possibilità concreta di ristrutturare la propria azienda costruendo una soluzione su misura, spesso senza dover varcare la soglia del Tribunale.