L’accettazione dell’incarico di amministratore di una società di capitali è un passo che comporta l’assunzione di un complesso di doveri e responsabilità di notevole rilievo. La gestione del patrimonio sociale e il perseguimento dell’oggetto sociale espongono l’amministratore a un rischio professionale che necessita di essere compreso e ponderato. Di seguito, un’analisi del quadro normativo e giurisprudenziale in materia di nomina, compenso, responsabilità e revoca.
1. La nomina e il compenso: un rapporto contrattuale
La nomina degli amministratori è di competenza dell’assemblea dei soci, ad eccezione dei primi, che vengono nominati nell’atto costitutivo. L’incarico ha una durata massima di tre esercizi e gli amministratori scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica, essendo comunque rieleggibili. È importante sottolineare che il Codice Civile non contempla la “conferma” dell’amministratore, ma una vera e propria rielezione, che ha effetti giuridici identici a una nuova nomina. Ogni nomina deve essere iscritta nel registro delle imprese entro trenta giorni.
Il rapporto che si instaura tra l’amministratore e la società ha natura contrattuale. Da ciò discende il diritto dell’amministratore a percepire un compenso per l’attività svolta. Tale compenso può essere stabilito dall’assemblea contestualmente alla nomina o con una delibera separata. Qualora l’assemblea non vi provveda, l’amministratore può richiederne la determinazione al giudice, anche in via equitativa. Tuttavia, in questo caso, grava sull’amministratore l’onere di allegare e provare la qualità e la quantità delle prestazioni concretamente svolte. Una mera indicazione forfettaria, non supportata da riscontri probatori, non è sufficiente per ottenere una liquidazione giudiziale.
La determinazione del compenso non è priva di limiti. Un compenso deliberato in misura irragionevole o sproporzionata rispetto al fatturato, alla dimensione economica della società e all’impegno profuso, può configurare una grave irregolarità di gestione e persino una condotta distrattiva del patrimonio sociale. Ciò è particolarmente vero quando l’amministratore è anche socio unico e determina il proprio compenso, potendo tale atto essere sindacato per verificare se persegua un interesse extrasociale.
2. Le responsabilità dell’amministratore
L’accettazione della carica comporta l’esposizione a diverse forme di responsabilità.
responsabilità verso la società
Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo. Questa responsabilità ha natura contrattuale e sorge in virtù del rapporto di gestione che lega l’amministratore alla società.
In virtù di tale natura contrattuale, la società, qualora convenuta in giudizio dall’amministratore per il pagamento del compenso, può legittimamente eccepire l’inadempimento o il non corretto adempimento degli obblighi gestori per paralizzare la pretesa creditoria.
La responsabilità degli amministratori persiste anche quando un atto dannoso sia stato deciso o autorizzato dai soci, poiché su di essi grava comunque il dovere di dare esecuzione alle delibere e di vigilare sulla corretta gestione.
La valutazione della condotta dell’amministratore è soggetta alla cosiddetta “business judgment rule“, secondo cui le scelte di gestione sono, in linea di principio, insindacabili nel merito da parte del giudice. Tuttavia, tale insindacabilità viene meno quando la scelta dell’amministratore si riveli manifestamente irrazionale, imprudente, compiuta senza le necessarie verifiche o in palese conflitto di interessi. L’amministratore che abbia un interesse, per conto proprio o di terzi, in una determinata operazione, ha il dovere di darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, astenendosi dal compiere l’operazione se è amministratore delegato.
responsabilità verso i creditori sociali
Gli amministratori rispondono anche verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Tale azione è esperibile dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.
responsabilità verso il singolo socio o il terzo
Il singolo socio o il terzo possono agire contro l’amministratore per il risarcimento dei danni subiti, ma solo a condizione che tali danni siano una conseguenza diretta di atti dolosi o colposi dell’amministratore. Non è sufficiente che il danno sia un mero riflesso del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, come la diminuzione di valore della partecipazione. È necessario che l’atto lesivo abbia inciso immediatamente sulla sfera giuridica del socio o del terzo.
responsabilità per debiti tributari
L’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973 prevede una specifica responsabilità personale e solidale di amministratori e liquidatori per il mancato pagamento delle imposte dovute dalla società. Tale responsabilità, di natura civilistica e non tributaria, sorge quando essi abbiano compiuto operazioni di liquidazione o occultato attività sociali, pregiudicando la riscossione dei crediti erariali.
3. La revoca e le relative tutele
L’incarico di amministratore può cessare per diverse cause, tra cui la revoca.
revoca da parte dell’assemblea
L’assemblea dei soci può revocare gli amministratori in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo. Tuttavia, se la revoca avviene senza una giusta causa, l’amministratore ha diritto al risarcimento del danno. La tutela è quindi di natura meramente risarcitoria e non “reale”, non essendo prevista la reintegrazione nella carica.
La nozione di giusta causa è ampia e non si limita a un inadempimento dell’amministratore. Può consistere in qualsiasi fatto o circostanza che mini il rapporto fiduciario, incluse esigenze oggettive di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale che prescindono da una valutazione negativa dell’operato dell’amministratore revocato. La società deve comunque fornire ragioni plausibili e riconducibili a esigenze di gestione per giustificare la revoca ed evitare la condanna al risarcimento.
revoca da parte del Tribunale
In presenza di gravi irregolarità nella gestione, la legge prevede strumenti di tutela che possono condurre alla revoca giudiziale degli amministratori. Nelle S.p.A., i soci che rappresentano una determinata quota del capitale sociale possono denunciare i fatti al tribunale ai sensi dell’art. 2409 c.c., il quale, nei casi più gravi, può disporre la revoca degli amministratori e la nomina di un amministratore giudiziario. Nelle S.r.l., l’art. 2476, comma 3, c.c. attribuisce a ciascun socio la legittimazione a chiedere un provvedimento cautelare di revoca in caso di gravi irregolarità. Anche i liquidatori possono essere revocati dal tribunale per giusta causa su istanza dei soci, dei sindaci o del pubblico ministero.
In conclusione, l’assunzione della carica di amministratore implica un impegno fiduciario di grande responsabilità. È fondamentale che chi si appresta ad accettare tale incarico sia pienamente consapevole del quadro di doveri, delle potenziali passività personali e delle tutele previste dall’ordinamento, al fine di svolgere il proprio ruolo con la diligenza e la professionalità richieste, proteggendo al contempo la propria posizione.