Liquidazione giudiziale o continuità aziendale? Scelte cruciali nella crisi d'impresa

Liquidazione giudiziale o continuità aziendale? Scelte cruciali nella crisi d’impresa 

Crisi d’impresa: liquidazione o continuità? Analisi dei criteri, strumenti e conseguenze delle scelte previste dal Codice della Crisi

La gestione della crisi d’impresa rappresenta uno dei momenti più delicati e complessi nella vita di un’azienda. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) ha profondamente innovato la materia, ponendo l’accento sulla diagnosi precoce della crisi e sulla salvaguardia del valore aziendale. Di fronte a una situazione di difficoltà economico-finanziaria, l’imprenditore si trova dinanzi a un bivio fondamentale: avviare l’impresa verso la liquidazione giudiziale, con la conseguente cessazione dell’attività, oppure tentare la via del risanamento attraverso la continuità aziendale. La scelta tra queste due opzioni non è né semplice né arbitraria, ma deve fondarsi su un’attenta analisi della situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, guidata da precisi criteri normativi e giurisprudenziali. 

Il dovere di agire e la nozione di crisi 

Il legislatore ha posto in capo all’imprenditore un vero e proprio dovere di prevenzione e gestione tempestiva della crisi. L’art. 2086 c.c. impone all’imprenditore che opera in forma societaria o collettiva di “istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato” anche “in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale“, nonché di “attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale“. 

Il presupposto per l’accesso a gran parte delle procedure è lo stato di insolvenza, definito come una situazione di impotenza funzionale, non meramente transitoria, che impedisce al debitore di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. Si tratta di una nozione giuridica che va oltre la semplice difficoltà di cassa, indicando un’incapacità strutturale di far regolarmente fronte alle proprie obbligazioni. 

La liquidazione giudiziale: la via della cessazione 

La liquidazione giudiziale rappresenta la soluzione estrema, finalizzata alla liquidazione del patrimonio dell’imprenditore insolvente per soddisfare, per quanto possibile, i creditori nel rispetto della par condicio creditorum. Con l’apertura della procedura, l’imprenditore viene spossessato dei suoi beni e l’amministrazione del patrimonio passa a un curatore nominato dal tribunale. 

L’attività d’impresa, di regola, si arresta, e i beni aziendali vengono utilizzati per il soddisfacimento dei creditori. Sebbene il CCII preveda la possibilità di un esercizio provvisorio dell’impresa, questa è un’eccezione concessa solo se funzionale a una migliore liquidazione e se non arreca pregiudizio ai creditori. La liquidazione giudiziale si impone quando non esistono concrete prospettive di recupero e la cessazione dell’attività appare come l’unica via per limitare ulteriori perdite e tutelare il ceto creditorio. 

La continuità aziendale: la scommessa sul risanamento 

In alternativa alla disgregazione del complesso aziendale, il legislatore ha previsto e incentivato una serie di strumenti volti a consentire la prosecuzione dell’attività, in un’ottica di conservazione del valore dell’impresa, dei posti di lavoro e del know-how. Questo approccio è considerato prioritario dall’ordinamento: l’art. 7 del CCII stabilisce che, in caso di presentazione di più domande, il tribunale esamina in via prioritaria quella diretta a regolare la crisi con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale, a condizione che non sia manifestamente inammissibile o il piano manifestamente inadeguato. 

Tra i principali strumenti di gestione della crisi in continuità si annoverano: 

  1. Il concordato preventivo con continuità aziendale: disciplinato dall’articolo 186-bis della Legge Fallimentare e ora dagli articoli 84 e seguenti del CCII, permette all’imprenditore di presentare un piano che preveda la prosecuzione dell’attività. Tale piano può includere la cessione dell’azienda in esercizio o il suo conferimento in una nuova società. L’obiettivo è generare flussi di cassa dalla gestione corrente per soddisfare i creditori, spesso in misura maggiore rispetto a quanto otterrebbero dalla vendita atomistica dei beni. 
  1. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti: previsti dall’articolo 182-bis della Legge Fallimentare (ora artt. 57 e ss. CCII), sono contratti stipulati con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, volti a rinegoziare l’esposizione debitoria e a consentire il riequilibrio finanziario dell’impresa. 
  1. L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: procedura riservata a imprese di rilevanti dimensioni, che mira al recupero dell’equilibrio economico attraverso un programma di ristrutturazione o, in alternativa, di cessione dei complessi aziendali, preservando la continuità operativa. 

I criteri della scelta: funzionalità e miglior soddisfacimento dei creditori 

La scelta tra liquidazione e continuità non è rimessa alla mera volontà dell’imprenditore, ma è vincolata a una valutazione oggettiva di fattibilità e convenienza. Il principio cardine che governa questa decisione è il miglior soddisfacimento dei creditori. Qualsiasi piano di continuità deve essere supportato da una relazione di un professionista indipendente che attesti, tra le altre cose, che la prosecuzione dell’attività è funzionale a garantire ai creditori un trattamento migliore rispetto a quello che riceverebbero dalla liquidazione giudiziale. 

Conclusione 

La decisione tra liquidazione giudiziale e continuità aziendale è una delle più strategiche e gravide di conseguenze per un’impresa in crisi. La normativa attuale, pur favorendo le soluzioni che preservano l’attività, impone un rigoroso vaglio di fattibilità economica e di convenienza per i creditori. Una diagnosi tardiva della crisi riduce drasticamente le possibilità di successo di un piano di risanamento, rendendo la liquidazione l’unica opzione praticabile. Al contrario, un’azione tempestiva, supportata da un’analisi professionale e da un piano industriale e finanziario solido, può consentire di superare la crisi, salvaguardando il patrimonio aziendale e offrendo ai creditori una prospettiva di soddisfacimento più vantaggiosa. La “consecuzione” tra procedure, per cui una domanda di concordato può sfociare in una liquidazione giudiziale, dimostra come questi percorsi siano strettamente interconnessi e come un tentativo di risanamento fallito possa comunque condurre all’esito liquidatorio, sottolineando l’importanza di una pianificazione accurata sin dalle prime fasi della crisi. 

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